PORTOGALLO
Soares spinge a destra. Con quale prospettiva economica ? e qual’è il potenziale di lotta ancora vivo ? Risponde l’economista Pereira
Il Manifesto, 9 gennaio 1977
Joao Martins Pereira, indipendente di estrema sinistra, autore degli studi più brillanti sul capitalismo portoghese, ha rilasciato a Luigi Scricciolo per il nostro giornale, una entrevista sulla situazione portoghese. Essa è di qualche giorno precedente ai risultati delle elezioni amministrative, che hanno ulteriormente ridotto le prospettive a breve termine dell’ala che il 25 giugno si è espressa in Otelo de Carvalho. Tuttavia l’intervista di Pereira resta attuale, specie sulla prospettiva economica a medio termine, ed è interessante per il giudizio che essa porta sulle potenzialità conflittuali ancora in atto in Portogallo.
Entrevista di Luigi Scricciolo
Puòi delinearci la situazione in cui si trova oggi la vostra economia ?
MARTINS PEREIRA – A guardare solo gli indici, la nostra situazione sembra simile a quella italiana e spagnola. Grande deficit della bilancia dei pagamenti, grande deficit di bilancio, grande debito esterno, eccesso di consumi, insuficienza di investimenti, inflazione e disoccupazione in crescita tute cose che portano a un programma « di austerità » più o meno classico o fantasioso, che infatti tutti e tre governi hanno annunciato. E tuttavia questa diagnosi, che per rassicurare gli economisti di casa nostra e altri che ci visitano da « esperti », nasconde le differenze fondamentali fra i tre paesi, che sono politiche e investono la genesi stessa della loro crisi. La caratteristica specifica della crisi portoghese consiste nel mantenere alcuni elementi della situazione prerivoluzionaria, sopravvenuta dopo un lungo periodo in cui la lotta di classe – semplicemente il dibattito politico – era stata soffocata. I meccanismi di controllo sociale che in Italia possono ancora essere escogitati (e sempre più difficilmente) nel quadro di una democrazia parlamentare, che in Spagna possono ancora essere messi acutamente in atto attraverso un allentamento controllato della ditatura, in Portogallo non sono ancora possibili. Al contrario, la borghesia portoghesa, che (complice il capitalismo internazionale) ha resistito per due anni puntando ad aggravare la crisi e travolgere tutto il meccanismo economico, di fronti a governi di coalizione deboli, che non sapevano o volevano prendere in pugno la situazione ; che ha saputo sfruttare fino in fondo gli errori delle cosidette « direzioni politiche » del movimento revoluzionario, questa borghesia, dicevo, ha già capito e l’afferma, che solo una democrazia di ferro (anticamara di un qualsiasi autoritarismo) può spuntarla sulla presente « anarchia ». Ha capito cioè che i lavoratori non negozieranno nulla di quello che hanno ottenuto con il 25 aprile.
È questo che è tipico della nostra crisi e dà un contenuto politico diverso a cifre che sembrano simili. Anche la pressione attuale, specie americana, per una svalutazione molto forte dell’escudo (30 per cento più politica che economica) serve a rassicurare gli ambienti finanziari e politici internazionali. Ma è chiaro che per dominare le conseguenze di una misura simile occorrerebbe una capacità e un’autorità che il governo socialista non ha. Il recente congresso del PS lo ha confermato.
E i lavoratori ? E l’Mfa ?
MARTINS PEREIRA – Comincio dall’Mfa. E più facile perchè non c’è più. Solo il partito comunista ne parla ancora. Paghiamo oggi il lusso di una « originalità rivoluzionaria » che ha sbalordito il mondo e senza la quale, del resto, il 25 aprile non ci sarebbe stato. Tutto quel che ne resta è un esercito che (e secondo me è una fortuna) è tuttora politicamente « travagliato ». Questo comporta un rischio, dal momento che il rapporto di forze è a vantaggio degli ufficiali di destra, ma è meglio di quanto non sarebbe un esercito « tranquillo », « disciplinato », « neutro », « custode dell’ordine democratico », come l’esercito cileno… I famosi « nove » (oggi rimasti in cinque o sei) hanno ragione di duolersi, come i socialisti, della « ingratitudine » della destra che, se un giorno prenderà il potere, dovrà a loro una parte della propria vittoria, ma certo li eliminarà rapidamente, come testimoniano gli attacchi feroci che porta loro tutti i giorni, in particolare contro Melo Antunes. Sono delusi – ma la lotta di classe non è una passegiata – che i lavoratori debbano affidare la difesa a coloro che hanno fatto fallire la rivoluzione della democrazia.
E veniamo ai lavoratori. Sarebbe un errore pensare che sono definitivamente battuti. Manifestano invece una combattività, sia pur limitata, soprattutto sul piano rivendicativo, anche se le lotte contro il ritorno dei padroni e sulla riforma agraria non sono trascurabili. Ma certo la grande speranza del voto a Otelo il 25 giugno non si è tradotta in una direzione del movimento di massa. Il settarismo di alcune organizzazioni dell’estrema sinistra (soprattutto l’Udp) non ha permesso di avanzare, e si è visto anchè al congresso del Gdup (organi natti nelle campagne in favore di Otelo). Inoltre, fattore essenziale d’immobilità resta un partito comunista che è il solo partito di massa ma smobilita le masse… La sua aspirazione a una moderazione il cui opportunismo è appena mascherato da alcune puntate verbali violentissime nei confronti del governo.
Nel frattempo, il Ps, facendo politica di destra «per togliere argumenti alla destra » ottiene – come la storia ha dimostrato altre volte – il contrario di quel che si prefigge, e rivela la sua impotenza. La destra non vuole che siano altri ad applicare il suo programma : è lei la più competente a farlo perchè non esita ad andare fino in fondo. Vuole quindi il potere. Ogni volta che il Ps cede, avanza nuove esigenze, come si vede nel caso della riforma agraria.
Il rischio più grosso, via via che si degrada la situazione economica – e il Ps non la può risolvere proprio perchè non è la destra nè d’altra parte ha la fiducia dei lavoratori – è che larghi strati della piccola borghesia cedano alla pressione ideologica fascistizzante : ordine, moralità, disciplina, disintossicazione del marxismo nella scuola, etc.
E l’integrazione europea?
MARTINS PEREIRA – Soares, che di economia non sa niente, ha sempre pensato che appena il partito socialista fosse al governo, anzi il governo, se ne sarebbe incaricato il suo amico Willy Brandt. Anzi che la integrazione europea sarebbe stata l’assicurazione più solida : l’Europa dei nove non avrebbe lasciato colare a picco il suo anello più debole. Per simplicistica e incredibilmente ingenua che possa parere, questa è esattamente l’ottica del segretario socialista. Altri, più smaliziati, capiscono che le cose non saranno così idiliache, ma ripetono dichirazioni di fede europeistiche e atlantica, come garanzia anticomunista nei confronti di chi dovrebbe investire, degli ambienti finanziari, degli emigrati e dei turisti. Invece tutto fa pensare che i paesi della Cee stano poco propensi a far entrare nel loro giro, il Portogallo sottosviluppato, al meno al tempi brevi. In uno intervento alla conferenza internazionale sull’economia portoghese, a Lisbona, il rappresentante del governo tedesco si è dilungato sugli enormi inconvenienti che comporterebbe sia per il Portogallo, sia per la Cee, un’adesione prematura. Questo non impedirà a Soares di fare, tra qualche settimana, il giro delle novecapitali per mendicare aiuto.
La questione chiave per il sistema capitalistico mondiale è quella del posto da far riprendere al Portogallo, dopo tutto quel che è avvenuto, in seno alla divisione internazionale del lavoro. E questo non sarà deciso a Lisbona, ma altrove. Inoltre Soares non può scegliere tra investimenti ad alta intensità di capitale, o ad alta intensità di manodopera, così come non può scegliere tra investire nell’industria o nell’agricoltura, nella salute o nella scuola. Se è dipendente dai capitali esterni (e questo succederà sempre di più, vedi il ricentissimo prestito d’emergenza di trecento milioni di dollari, concesso dagli Usa) è dipendente anche dalle loro decisione : i capitali si orienteranno naturalmente verso i settori nei quali il Portogallo presenta, all’atuale livello dei salari, una competitività. Ma questo contrasta con qualsiasi pianificazione (anche se il Ps continua a parlarne), con la concentrazione nelle mani dello stato del credito e delle industrie di basi come mezzi per controllare l’iniziativa privata.
Ciò implica che il modelo europeo del partito socialista, tutto poggiato sull’esterno, lo obbliga a non muoversi come un partito socialista e perfino a chiudere gli occhi, ogni tanto, sulla constituzione. Ancora una volta si trata di contraddizioni che il PS non puo aggirare. Questo condurrà a breve termine (i giornali di destra ne parlano correntemente e il Pc stesso lo ritiene probabile) a porre la questione di sostituire questo governo con uno più omogeneo e più forte. La nascita, avvenuta qualche settimanea fa, di una Fondazione di scienze politiche, che raggruppa una dozzina di cervelli dell’ala « sinistra » del Ppd e del’ala destra del Ps, con qualche independente della stessa tendenza, deve fungere da coagulo di un brain trust della strategia di avvicinamento Ps-Ppd. Nello stesso senso va la campagna all’interno del Ps contro la sinistra, che ha già condotto nel passato alle dimissione di Lopes Cardoso e alla sospensione di militanti del sindicato. Stiamo assistendo alla difficile genesi di uno grosso partito socialdemocratico senza base operaia, ma sul quale gli americani et e i tedechi punterebbero a fondo. Ma anche questa soluzione sarebbe transitoria e instabile.
Quale che sia la strada che il governo prende, lo sbocco comporta gli stessi rischi. In Portogallo non c’è alternativa tra dipendenza, con un accrescimento del dominio imperialista, e rottura rivoluzionaria. Anche se il rapporto de forze non à favorebole, bisogna lottare per questa seconda ipotesi e unire le masse intorno al solo progetto che può liberare. Questo non esclude la partecipazione alle lotte istituzionali a tutti i livelli : ma esige una rete assai stretta di alleanze di classe alla base.